Analisi giuridica e vittimologica della violenza sessuale: comprensione legale e impatti sulle vittime.
“Nella violenza carnale la persona, invece che da soggetto viene trattata da oggetto. Solo questa configurazione consente di intendere tutta la gravità ed antigiuridicità del reato, tenuti presenti i principi costituzionali. La persona è sempre soggetto e mai oggetto, la persona mai può e deve esser oggettivizzata”.
Cass. pen., sez. III, 22 novembre 1988,. n. II 243
C’erano una volta, non più tardi di cinque lustri fa, crimini sessuali mossi nei confronti delle donne che restavano impuniti, considerati semplici atti pronti a ledere la moralità pubblica e il buon costume.
In una società patriarcale, prettamente maschilista e stereotipata, lo stupro era un problema di stampo unicamente moralistico; infatti, l’originaria previsione del Codice penale distingueva due fattispecie delittuose: la violenza carnale e gli atti di libidine violenti, entrambi derubricati tra i “delitti contro la moralità e il buon costume”, poiché nessuno aveva mai riflettuto sulle possibili conseguenze fisiche e psicologiche di chi subiva violenze sessuali. Tuttavia, non c’è da stupirsi: è sufficiente pensare che l’abolizione del delitto d’onore è avvenuta soltanto nel 1981.
La legge n. 66 del 15 febbraio 1996 ha radicalmente modificato l’inquadramento giuridico dei reati sessuali, ponendo in rilievo il carattere offensivo delle condotte punite nei confronti del bene giuridico della libertà sessuale - ossia la libertà di autodeterminarsi in ordine alla propria sfera sessuale e gli atti che la compongono - e non più di quelli della moralità e del buon costume.
Il reato di violenza sessuale è sancito dall’articolo 609 bis del Codice penale.
Le condotte prese in considerazione dal legislatore sono essenzialmente due: da un lato, la violenza sessuale per costrizione realizzata per mezzo di violenza, minaccia e abuso di autorità, dall’altro lato la violenza per induzione, attuata mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa o mediante inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nel concetto di atti sessuali deve ricomprendersi ogni atto coinvolgente la corporeità della persona offesa, posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della sfera sessuale di una persona non consenziente; anche un bacio o un abbraccio sono idonei a compromettere la libertà sessuale dell’individuo, qualora in considerazione della condotta complessiva, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte emerga un’indebita compromissione della sessualità del soggetto passivo.
La libertà sessuale dell’individuo costituisce un diritto inviolabile dell’uomo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro qualsiasi condizionamento fisico o morale. In Italia, secondo la Costituzione, è protetta e riconosciuta come parte dei diritti fondamentali della persona. Tuttavia, la Costituzione italiana non menziona esplicitamente la "libertà sessuale", ma protegge questo diritto attraverso varie disposizioni che salvaguardano la libertà personale e l'integrità fisica e morale dell'individuo come:
- Articolo 13: Tutela la libertà personale, stabilendo che ogni individuo ha diritto alla libertà personale e che nessuno può essere privato arbitrariamente di questa libertà. Questo articolo è fondamentale per la tutela contro abusi sessuali e violenze, in quanto afferma che ogni limitazione alla libertà personale deve essere basata su una legge e può essere imposta solo nei modi e nei casi previsti dalla legge.
- Articolo 3: Garantisce l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Questo articolo supporta l'idea che tutti hanno il diritto di vivere la propria vita sessuale senza discriminazioni.
- Articolo 32: Protegge la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Anche se non direttamente collegato alla libertà sessuale, questo articolo implica il diritto alla protezione della salute sessuale e riproduttiva.
Alla luce di queste considerazioni è di rilevante importanza il consenso, che deve essere validamente e coscientemente prestato e deve perdurare per tutta la durata del rapporto sessuale e non solo all’inizio, integrandosi dunque il delitto in esame quando il consenso originariamente prestato venga meno a causa di un ripensamento o a causa della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto.
In questo caso però si districano molteplici interpretazioni e interventi normativi che generano ancora un delicato caos in fase di reato e giudizio. I concetti di consenso e dissenso in ambito sessuale sono regolati principalmente dal Codice Penale. Invero, la normativa italiana è chiara nel definire che il consenso deve essere esplicito, informato e revocabile in ogni momento per garantire che le relazioni sessuali avvengano in maniera consensuale e rispettosa della libertà individuale. Ma se per consenso si intende un accordo libero e consapevole alla partecipazione in attività sessuali, si sottintende anche che esso non può essere dedotto dal silenzio o dalla mancanza di resistenza. La persona deve avere dunque la capacità giuridica di dare consenso, cosa che tra l'altro esclude minori e persone che non sono in grado di comprendere la natura dell'atto a causa di condizioni mentali o fisiche. Parallelamente il dissenso è dunque il rifiuto di partecipare a un'attività sessuale. Il Codice Penale italiano punisce chiunque compie atti sessuali con una persona che ha espressamente manifestato il suo dissenso o che, per qualsiasi causa, si trova in uno stato di incapacità di intendere o di volere.
Le complicanze a livello interpretativo in fase di processo avvengono lì dove si tratti di tacito assenso o tacito dissenso poiché non sono specificatamente riconosciuti dalla legge italiana nel contesto della libertà sessuale ma deducibili dalla nozione giuridica di consenso e dissenso. In Italia, la legge richiede una manifestazione esplicita di volontà o meno eccetto casi in cui viene riconosciuta una differente dinamica comportamentali dovuta ad altri fattori. Questo approccio è volto a proteggere le persone da interpretazioni errate o ambigue del loro comportamento, che potrebbero portare a abusi.
Ma interpretare i fatti in maniera corretta, durante un processo che coinvolge accuse di violenza sessuale, richiede un'analisi delicatissima e accurata da parte degli organi competenti a tal punto che definire la linea di confine tra tacito assenso e tacito dissenso può essere particolarmente complesso e problematico per diversi motivi:
- Ambiguità della comunicazione non verbale: Molto spesso, il consenso o il dissenso non viene comunicato verbalmente. Gli individui possono fare affidamento su segnali non verbali che possono essere soggettivamente interpretati in modi differenti dalle parti coinvolte. Questo può creare incertezze significative riguardo alla volontà effettiva della presunta vittima al momento dell'accaduto.
- Assenza di testimonianze dirette: I casi di violenza sessuale spesso si verificano in privato senza testimoni esterni. Questo rende difficile per le autorità giudiziarie verificare le affermazioni di consenso o dissenso basate solo sulle testimonianze delle parti direttamente coinvolte.
- Impatto dello shock e del trauma: Le vittime di violenza sessuale possono sperimentare shock o trauma durante o subito dopo l'evento, il che potrebbe impedire loro di esprimere un dissenso chiaro e inequivocabile. Questo stato di vulnerabilità può complicare ulteriormente la valutazione del loro consenso o dissenso.
- Prevalenza di stereotipi e pregiudizi: Le corti possono essere influenzate da stereotipi culturali o pregiudizi riguardo al comportamento "appropriato" delle vittime di violenza sessuale. Tali preconcetti possono distorcere la percezione del consenso e influenzare negativamente la giustizia del processo.
- Natura dinamica del consenso: Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento, e la capacità di una persona di continuare a dare consenso può cambiare rapidamente a seconda delle circostanze. Determinare il momento esatto in cui il consenso è stato ritirato può essere difficile, soprattutto se le comunicazioni non erano chiare.
Questi fattori contribuiscono dunque alla complessità dei casi giudiziari in materia di violenza sessuale, richiedendo un'attenta considerazione e un'analisi dettagliata delle prove per garantire un giudizio equo e giusto.
Un’ultima considerazione, non per importanza, riguarda la legge n. 69 del 19 luglio 2019, denominata “Codice rosso” in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, la quale incide notevolmente anche sul reato di violenza sessuale inasprendone le pene; la pena prevista della reclusione da 5 a 10 anni viene aumentata nel minimo e nel massimo edittale: da 6 a 12 anni.
La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata su questo delicatissimo tema il 31 gennaio 2024, con la sentenza 4199, affermando che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609 bis c.p. “non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente. Nè è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta”.
Illustri giudici delle Corte di Cassazione hanno, quindi, ampliato il raggio di configurabilità del suddetto delitto rimasto per diversi anni impunito. Nonostante ciò, ancora oggi, si assiste al fenomeno del “victim blaiming” ossia la colpevolizzazione della vittima; ritenere la vittima di un crimine o di altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto. In particolar modo, nei processi di violenza sessuale, quando la persona offesa viene sottoposta ad esame oppure in sede di denuncia le domande più frequentemente poste sono: “ma lei, com’era vestita?”; “perché non ha denunciato prima?”; “è sicura di aver detto no?”; “non è che te la sei un po’ cercata?”; “cosa ci facevi in giro a quell’ora?”; “sei sicura di ricordare bene?”; “non è che sei stata tu a provocarlo?”; “non è che sei arrabbiata perché non ti ha più richiamata?”. Ed ecco, quindi, che si insidia lentamente il fenomeno di vittimizzazione secondaria che si riverbera sulla percezione della realtà della vittima inducendola ad autocolpevolizzarsi.
È pertanto doveroso affermare nuovamente che l’imposizione di un rapporto sessuale o di un’intimità non desiderata è un atto di umiliazione, di sopraffazione e di soggiogazione, che provoca nella vittima profonde e laceranti ferite fisiche e psichiche.
In conclusione, è essenziale riconoscere che la lotta contro la violenza sessuale non è solo una questione di giustizia immediata per le vittime, ma anche un elemento cruciale nella prevenzione di futuri abusi. Una risposta decisa e coordinata, che integri azioni legali rigorose con politiche di prevenzione efficaci, è fondamentale per creare un ambiente sicuro e protettivo. Affrontare queste sfide con determinazione e sensibilità è la chiave per costruire una società dove la dignità e il rispetto sono garantiti per tutti, rendendo il nostro paese un luogo più giusto e sicuro.
Bibliografia
- Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte Speciale, Vol. II, Tomo Primo, Milano, 2008
- Garland T.S., Policastro C., Richards T.N., Miller K.S., (2016), Blaming the victim: university student attitudes toward bullying, Journal of aggression, maltreatment & trauma
- Gentilomo A. & Barbieri C. M. (2021). Medicina Legale per giuristi, 124 - 137.
- Onorato, Giurisprudenza di legittimità in tema di violenza sessuale, in Cass. pen., 2010, 10, 3658 ss.
- Ullman, S.E., & Najdowski, C.J. (2011). Prospective Changes in Attributions of Self-Blame and Social Reactions to Women’s Disclosures of Adult Sexual Assault. Journal of Interpersonal Violence, 26, 1934–1962.